domenica 3 ottobre 2021

DA CHE PARTE STARE? SEMPLICE, BASTA COERENZA…


Nella giornata di domani (4 ottobre n.d.r.) l’eurodeputato Carles Puigdemont i Casamajó si presenterà davanti alla Corte d’Appello di Sassari che dovrà prendere una decisione sulla richiesta di estradizione presentata dalla Spagna.

Oltre a Puigdemont sarà presente anche una delegazione di VOX España (partito neo franchista il cui leader è il tizio a destra nella foto che risponde al nome di Santiago Abascal) per sostenere le ragioni dei magistrati spagnoli che vogliono incarcerare e processare l’ex presidente della Catalogna.

Da parte mia è facile e coerente con decenni di attivismo politico stare dalla parte di Puigdemont e della causa catalana, contro la repressione spagnola.
Altri hanno deciso di andare a braccetto con quelli di Vox, tipo il tizio a sinistra nella foto…

N.b.: L’immagine non è un fotomontaggio e neppure un esercizio di da principiante di Photoshop.
👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻
https://twitter.com/matteosalvinimi

venerdì 24 settembre 2021

🎗#FreePuigdemont🎗


Ha viaggiato in tutta Europa senza problemi per mesi, anzi anni.

Poi ha preso un aereo per un’isola, la Sardegna, sulla quale esercita la propria autorità un paese molto ”strano”, (quello dove la “costituzione ANTIFASCISTA più bella del mondo” convive in pace e serenità con un codice penale che porta la firma di un certo BENITO MUSSOLINI), per finire in gattabuia nel carcere di Sassari…

Ennesima conferma di quando l’ITAGLIA sia uno staterello di m…a nel quale impera e governa per davvero una miserevole combriccola di burocrati e azzeccagarbugli rigorosamente scelti x concorso pubblico (di rutti mi sovviene).

martedì 10 agosto 2021

MEMORIA | 20 ANNI SENZA GIANFRANCO


Post di introduzione alla giornata dedicata al Professore da Terre di Lombardia
Era il 10 di agosto del 2001, era un venerdì d'estate, uno di quei giorni nei quali il pensiero correva al fine settimana incombente ed al ferragosto cui mancavano pochi giorni. Era un giorno dal quale sono trascorsi ormai vent'anni.

Venti anni senza Gianfranco Miglio.
Venti lunghi anni nei quali le sue parole, i suoi scritti, il suo pensiero non hanno mai lasciato le menti ed i cuori di chi lo ha conosciuto, chi l'ha ascoltato, chi l'ha letto.
Venti anni dopo Terre di Lombardia lo ricorderà per tutta la giornata proponendovi articoli vecchi e nuovi, citazioni, e ricordi.

Il nostro modo per RICORDARTI!
Il nostro modo per RINGRAZIARTI!
Il nostro modo per DIRTI, CI MANCHI!

mercoledì 23 giugno 2021

CATALUNYA | Scarcerati i "prigionieri politici"


Sono usciti stamane dalle carceri della Catalogna, in cui stavano scontando le loro pene, i nove leader indipendentisti beneficiari dell’indulto concesso dal governo centrale di Madrid. Tutti hanno trascorso in prigione più di tre anni dopo le condanne per aver celebrato il referendum per l’indipendenza del primo ottobre 2017.

Turull fuori dal carcere dopo l’indulto di Madrid: «Più indipendentista di quando sono entrato». L’ex portavoce di Carles Puigdemont, uno dei 9 leader catalani graziati: «Sánchez è un opportunista».

«Sono stati 1227 giorni di prigione»
; quasi quattro anni «senza usare gli occhiali da lontano perché tanto in carcere l’orizzonte è minimo»; una vita che scorreva solo per gli altri «in cui non ho potuto aiutare mio papà nel momento più difficile», un tempo infinito per riflettere su cosa voglia dire essere catalano e decidere che «una nazione non può rinunciare alla propria libertà e che un modo pacifico, democratico e responsabile prima o poi si troverà una via». Perché sì, 1227 giorni di prigione dopo, «sono più indipendentista di quando sono entrato».

VISCA CATALUNYA!
LLIBERTAT PRESOS POLITICS!

domenica 9 maggio 2021

I Moti di Milano del 1898


Articolo per "Terre di Lombardia"

I moti di Milano furono una rivolta di una parte della popolazione di Milano contro il governo, che si svolse tra il 6 e il 9 maggio del 1898. Gli scontri avvennero a seguito di manifestazioni da parte di lavoratori che scesero in strada contro la polizia e i militari per protestare contro le condizioni di lavoro e l’aumento del prezzo del pane dei mesi precedenti, come avvenne anche in altre città italiane nello stesso periodo.

Le notizie da Milano portarono il governo a dichiarare lo stato d’assedio con il passaggio di poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris. Egli agì duramente fin dall’inizio per soffocare ogni possibile forma di protesta; l’utilizzo indiscriminato delle armi da fuoco e, in particolare, di cannoni all’interno della città portarono il risultato desiderato, ma anche numerose vittime, spesso semplici astanti. I «cannoni di Bava Beccaris» passarono alla storia come simbolo di un’insensata e sanguinosa repressione.

Gli avvenimenti furono considerati parte della reazione conservatrice alla svolta politica in atto all’epoca in Italia, «un colpo di coda, l’ultimo sussulto degli ambienti retrivi di Corte, della destra liberale incline al “principato costituzionale” alla prussiana, dei fautori della interpretazione restrittiva dello Statuto albertino».

Due anni dopo i fatti, il 29 luglio 1900, il militante anarchico Gaetano Bresci – all’epoca dell’eccidio emigrato negli Stati Uniti – intese vendicare i morti di Milano uccidendo il re d’Italia, Umberto I.

La situazione a Milano e il prezzo del pane

La questione del pane era molto sentita a Milano; il pane era l’elemento principale di nutrimento per le fasce più basse della popolazione. Nel 1886 quando agli ispettori daziari si richiese di far rispettare il regolamento del 1870 che implicava il pagamento del dazio a chi portava in città più di mezzo chilo di pane, si verificarono diversi tumulti a Porta Tenaglia da parte degli operai che «solevano al mattino portare portare seco loro un chilogrammo di pane e uno di riso di cui si servivano poi per il loro sostentamento durante la giornata»; il 1º aprile ci fu anche una manifestazione in piazza del Duomo con diversi arrestati. Il 3 aprile il Consiglio comunale ripristinò la “tolleranza” per chi introduceva il pane in città; era la prima volta che il Consiglio cedeva alle proteste di piazza e ci furono critiche da parte dei conservatori.

Nella seconda metà del 1897 la scarsità del raccolto dei cereali provocò un aumento del costo del pane. Il governo non prese provvedimenti, nonostante le richieste di abolizione del dazio sull’importazione del grano, che avrebbe permesso di abbassare i prezzi. Nel gennaio 1898 ci furono i primi moti di protesta in altre zone d’Italia; a Milano si intensificarono i ritrovi dei partiti di opposizione che denunciavano l’inazione governativa, ma invitavano a non trascendere con azioni violente; nonostante queste rassicurazioni il prefetto Antonio Winspeare si mostrava preoccupato che «perdurando l’attuale stato di cose ed avvenendo nuovi aumenti del prezzo del pane, la cosa potrà divenire seria» e proibì le riunioni pubbliche. Il governo stabilì una diminuzione provvisoria del dazio sul grano dal 25 gennaio al 30 aprile, però si ebbero solo minimi effetti sul prezzo del pane.

A marzo ci furono vari segnali preoccupanti per l’amministrazione comunale. Il 4, in occasione del 50º anniversario dello Statuto Albertino, all’Arena Civica si riunirono 12 000 persone per ascoltare i comizi socialisti; in piazza del Duomo la Marcia Reale venne sonoramente fischiata. Il 6 il radicale Felice Cavallotti fu ucciso in duello da Ferruccio Macola a Roma; i funerali si svolsero a Milano il 9 marzo.

Il 20 marzo le celebrazioni del 50º anniversario delle Cinque giornate videro la contrapposizione di due distinti cortei, al mattino quello delle associazioni liberali e al pomeriggio la commemorazione «radico-repubblicana-socialista-anarchica»; il secondo era «più numeroso e importante del primo». Nello stesso periodo si segnalarono diversi articoli de L’Osservatore Cattolico, diretto dall’intransigente don Davide Albertario, a difesa dell’associazionismo cattolico contro i moderati.

Di fronte a queste manifestazioni pubbliche i conservatori lamentavano la debolezza del governo.

Ad aprile lo scoppio della guerra ispano-americana bloccò la possibilità di importazione di cereali dagli Stati Uniti. A Milano cresceva la preoccupazione per le manifestazioni del 1º maggio, che però trascorse senza incidenti. A turbare i precari equilibri, il 4 maggio giunse il decreto di richiamo alle armi della classe 1873.

Le truppe presenti

Dal 2 maggio venne data facoltà ai prefetti di affidare, in caso di estesi tumulti, la gestione della pubblica sicurezza all’autorità militare.

A Milano aveva sede il III corpo d’armata, comandato fin dal 1887 dal tenente generale Fiorenzo Bava Beccaris; il tenente generale Luchino Del Mayno era a capo della divisione Milano dal 1895.

Secondo le relazioni ufficiali, all’inizio di maggio del 1898 le forze totali disponibili per il presidio di Milano ammontavano a circa 2 000 uomini di fanteria, 600 di cavalleria e 300 di artiglieria a cavallo. Altri furono chiamati di rinforzo dopo l’inizio dello stato d’assedio.

I fatti

La ricostruzione dei fatti in studi storici è basata principalmente sull’esame della documentazione ufficiale. Il socialista Paolo Valera pubblicò varie testimonianze già a partire dal 1899; sull’argomento realizzò numerosi articoli nel periodico La folla da lui fondato nel 1901. Queste pubblicazioni, tese a screditare le relazioni ufficiali e in modo particolare Bava Beccaris, presentano però «diverse forzature».

È considerata di particolare interesse una lettera inviata da Eugenio Torelli Viollier a Pasquale Villari il 3 giugno 1898; dimessosi due giorni prima dalla direzione del Corriere della Sera, egli intendeva sfogarsi riportando un resoconto degli avvenimenti di Milano che non aveva potuto pubblicare.

A Milano il 6 di maggio agenti della polizia arrestano, nel corso di una agitazione, alcuni operai della Pirelli; verso sera, durante i tumulti davanti alla questura, due dimostranti restano sul selciato.

Il giorno seguente le organizzazioni operaie dichiarano lo sciopero generale e i milanesi scendono nelle strade. Poiché i questurini non sono sufficienti, la cavalleria viene incaricata di riportare l’ordine. Ma l’ordine non torna, non c’è verso. In molti quartieri popolari vengono alzate le barricate. Nel pomeriggio del 7 maggio il Governo decreta lo stato di assedio affidando il comando della piazza al generale Fiorenzo Bava Beccaris. Altri morti si aggiungono ai primi.

L’8 maggio è domenica, Milano è insorta come cinquanta anni prima contro gli austriaci, solo che stavolta nobili e borghesi stanno dall’altra parte. Il generale comandante ordina di sparare sulla folla. Col cannone ad alzo zero.

Il giorno 9 la rivolta viene gradualmente sedata; nel pomeriggio i bersaglieri espugnano l’ultima barricata in largo la Foppa.

Il 10 maggio si ebbe la riapertura di quasi tutti gli stabilimenti e della maggior parte delle attività. Non si registrarono altri incidenti degni di nota a Milano.

Monza furono repressi alcuni tumulti, per i quali già da domenica 8 erano state inviate truppe. A Luino ci furono proteste presso una caserma per ottenere la liberazione di un operaio che era stato arrestato giorni prima; guardie e carabinieri spararono sulla folla, provocando 4 morti e 10 feriti; da Milano e da Varese vennero inviate truppe di rinforzo.

Sempre il giorno 10 iniziarono a giungere dalla Svizzera notizie dell’organizzazione di un gruppo di operai italiani diretti in Italia per sostenere i tumulti. Mercoledì 11 lo stato d’assedio venne esteso alla provincia di Como e vi vennero inviate truppe, temendo un’aggressione armata al confine svizzero; venne richiesto un intervento al consiglio federale svizzero per fermare la possibile invasione. Il 15 maggio il treno che trasportava un gruppo di circa 200 operai, unici ad aver completato il viaggio attraverso i cantoni, fu scortato alla frontiera e consegnato alle forze dell’ordine italiane.

I dati ufficiali indicarono in totale 83 morti, cioè 81 civili, un agente di pubblica sicurezza e un soldato.

In tutti i territori sottoposti al generale Bava Beccaris furono arrestate in totale circa 2000 persone e ci furono circa 1140 deferiti al tribunale di guerra.

Si svolsero 129 processi con 828 imputati, dei quali 224 erano minorenni e 36 erano donne; nel complesso ci furono 688 condanne e 140 assoluzioni. Circa 300 condanne furono con pene inferiori a 6 mesi e 85 con pene tra 5 e 16 anni di reclusione. La condanna a 16 anni fu per il socialista Dino Rondani, nel frattempo fuggito in Svizzera.

Le udienze si svolsero in una sala a pianterreno dell’ala sinistra del Castello Sforzesco, all’epoca oggetto di restauro da parte di Luca Beltrami e sede del Museo del Risorgimento e di altre istituzioni.

L’attenzione generale si concentrò in particolare su due processi, quello «dei giornalisti» e quello «dei politici».

Il processo detto «dei giornalisti» vide 24 imputati; solo alcuni erano effettivamente giornalisti. Vennero accusati principalmente in quanto appartenenti a gruppi anarchici, socialisti o repubblicani. Caso particolare fu quello di don Albertario perché i suoi articoli «gareggiavano cogli altri di violenza così da attaccare con sottile ironia la Monarchia e le istituzioni, seminando l’odio di classe fra contadini e padroni e fra le altre classi sociali e distogliendo buona parte del clero da quell’opera di pacificazione che per la sua missione sarebbe destinato a compiere, costituendo in tal modo un fomite alla rivolta anche con articoli violenti, quando questa era già scoppiata».

Il processo detto «dei politici» iniziò il 27 luglio e ebbe come imputati i deputati Luigi De Andreis (repubblicano), Filippo Turati e Oddino Morgari (socialisti). Nonostante l’immunità parlamentare, i tre erano stati arrestati durante lo stato d’assedio: De Andreis a Milano durante una perquisizione al giornale Il Secolo; Turati in questura a Milano dove si era presentato per avere informazioni sull’arresto di Anna Kuliscioff; Morgari era stato fermato a Roma. La Camera dei deputati aveva concesso l’autorizzazione a procedere contro di loro nella seduta del 9 luglio con 207 voti a favore, 57 contrari e 16 astenuti. Vennero accusati «perché, col mezzo di opuscoli, discorsi e conferenze, col mezzo dell’istituzione di circoli, comitati, riunioni e leghe di resistenza, e allo scopo, concertato e stabilito fra essi e altri capi ora latitanti di partiti sovversivi, di mutare violentemente la costituzione dello Stato e la forma di governo, riuscirono a suscitare la guerra civile e a portare la devastazione e il saccheggio nella città di Milano nei giorni 6, 7, 8 e 9 maggio ora decorso, cooperando anche immediatamente e direttamente all’azione, e procurando di recarvi assistenza e aiuto».

La sentenza del 1º agosto 1898 condannò De Andreis e Turati a 12 anni, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, all’interdizione legale durante l’espiazione della pena e al pagamento delle spese processuali. Morgari fu assolto.

Con la fine dello stato d’assedio e il ritorno di varie pubblicazioni soppresse, iniziò una serie di appelli per l’amnistia nei confronti dei condannati.

Il 29 dicembre 1898 fu concessa un’amnistia per alcune pene stabilite dai tribunali militari di Milano, Firenze e Napoli: furono condonate le condanne fino a due anni di reclusione e le altre condanne vennero ridotte di due anni; per i minorenni e per le donne l’amnistia fu estesa per condanne fino a tre anni di reclusione; furono condonate le pene pecuniarie. In questa amnistia rientrò, ad esempio, la condanna di Anna Kuliscioff; don Albertario si vide la condanna ridotta a un anno.

Nel gennaio 1899 iniziarono le pubblicazioni della rivista Pro Amnistia che raccoglieva numerosi appelli; il primo numero conteneva scritti di Ernesto Teodoro Moneta, Filippo Meda, Claudio Treves, Edoardo Porro, Augusto Murri, Paolo Valera, Olindo Guerrini, Max Nordau e Adolfo Zerboglio.

Il 3 febbraio 1899 la Camera dei deputati dichiarò decaduti Turati e De Andreis in seguito alla loro condanna; furono dichiarati vacanti i collegi elettorali di Milano V e di Ravenna I. Turati, ancora in carcere, fu ricandidato da socialisti, radicali e repubblicani nel collegio di Milano V e la sua elezione fu data per scontata, tanto che non si presentarono altri candidati; il 2 giugno la Camera annullò l’elezione.

Con decreto del 4 giugno 1899 Umberto I concesse una nuova amnistia senza limitazioni. Turati fu nuovamente candidato alle elezioni suppletive per il collegio Milano V che si tennero il 13 agosto; fu rieletto sconfiggendo nettamente il candidato moderato.

mercoledì 5 maggio 2021

40 YEARS AGO | #BobbySands 🇮🇪 🥀

“...Non c’è nulla nel loro intero arsenale militare che riesca ad annientare la resistenza di un prigioniero politico repubblicano che non vuole cedere... Non possono e non potranno mai uccidere il nostro spirito... La neve entrò dalla finestra e si posò sulle mie coperte. Tiocfaidh âr lá...”

Robert Gerard Sands, detto Bobby (irl. Roibeard Gearóid Ó Seachnasaigh; Belfast, 9 marzo 1954 – Lisburn, 5 maggio 1981), è stato un attivista e politico nordirlandese, volontario della Provisional Irish Republican Army. Eletto membro del parlamento britannico mentre era detenuto nel carcere di Maze, a Long Kesh[, vi morì il 5 maggio 1981 a seguito di uno sciopero della fame condotto a oltranza come forma di protesta contro il regime carcerario a cui erano sottoposti i detenuti repubblicani.

Nato ad Abbots Cross, sobborgo settentrionale di Belfast e cresciuto nel quartiere a maggioranza protestante di Rathcoole, si trasferì diverse volte con la sua famiglia a causa delle costanti intimidazioni subite dai lealisti protestanti. Lasciata la scuola, Bobby Sands divenne un apprendista carrozziere, finché non fu costretto a lasciare, per le minacce dei lealisti.

L'ingresso nell'IRA

Nel giugno 1972 la sua famiglia si era trasferita a Twinbrook, alla periferia sudoccidentale di Belfast, dove divenne un attivista della comunità e si sposò con Geraldine Noade, da cui ebbe nel 1973 il figlio Gerard.

All'apice dei tumulti, entrò nell'IRA. Così Sands descrisse la sua scelta: «Avevo visto troppe case distrutte, padri e figli arrestati, amici assassinati. Troppi gas, sparatorie e sangue, la maggior parte del quale della nostra stessa gente. A 18 anni e mezzo mi unii all'IRA.»

Divenne membro del Primo battaglione della Brigata Belfast, ma nell'ottobre del 1972 fu arrestato la prima volta per la detenzione di quattro pistole. Sands rimase nel carcere di Long Kesh, il Maze, senza processo (dal 1970 in Irlanda del Nord era prevista la possibilità di detenzione senza processo, solo sulla base di una decisione del Ministro degli Interni dell'Irlanda del Nord fino al marzo 1972, e successivamente del Segretario di Stato per l'Irlanda del Nord del governo britannico. L'internamento senza processo venne abolito nel 1974) sino all'aprile 1973, quando fu condannato a 5 anni di reclusione. Poco tempo dopo la moglie e il figlio andarono a vivere in Inghilterra.

Era fuori di prigione da meno di un anno quando, il 14 ottobre 1976, fu nuovamente arrestato. Sospettato di coinvolgimento nell'attentato contro il mobilificio della Balmoral Furniture Company a Dunmurry, non fu direttamente imputato di quest'azione perché un giudice stabilì non esservi evidenze di concorso in quel reato.

Fu prosciolto anche dall'accusa di aver partecipato a un conflitto a fuoco contro uomini del Royal Ulster Constabulary, anche in questo caso per insufficienza di prove. Ma alcuni dei partecipanti alla sparatoria, Sean Lavery, Joe McDonnell e Seamus Finucane (fratello di John, morto nel 1972 in "servizio attivo" per l'IRA), erano stati arrestati dopo aver tentato di darsi alla fuga su un'auto insieme allo stesso Sands (abbandonando sul posto i feriti Seamus Martin e Gabriel Corbett). Un'arma rinvenuta a bordo dell'auto fu riconosciuta come una delle rivoltelle usate durante lo scontro, quindi nel settembre 1977 Sands fu processato per possesso illegale di armi da fuoco e condannato a 14 anni di carcere.

La carcerazione

Dopo un iniziale soggiorno di 22 giorni al carcere di Crumlin Road, in cui fu coinvolto in tumulti per i quali fu tenuto nudo per 15 giorni e costretto al digiuno una volta ogni tre giorni, Sands scontò poi la pena nel carcere di Long Kesh, ribattezzato dagli inglesi "Maze" (labirinto) dopo che era stata costruita la parte nuova del carcere, costituita da 8 edifici a un piano a forma di H, che divennero tristemente noti come H-Blocks, "Blocchi H".

In prigione Sands divenne giornalista e poeta. I suoi articoli, scritti su cartine per sigarette o su pezzi di carta igienica, erano fatti uscire dal carcere con numerosi stratagemmi e furono pubblicati dal giornale repubblicano An Phoblacht-Republican News, voce del movimento, con lo pseudonimo "Marcella".

All'inizio dello sciopero della fame del 1980 Sands, già PRO (Public Relations Officer) dei detenuti, venne scelto come OC (Officer Commanding), ufficiale comandante dei prigionieri dell'IRA a Long Kesh in sostituzione di Brendan Hughes, che avrebbe guidato lo sciopero.

I prigionieri dell'IRA avevano organizzato una serie di proteste per cercare di riottenere lo status di prigionieri politici che il governo aveva negato per tutti i crimini commessi dopo il 1º marzo 1976, e non essere soggetti alle normali regole carcerarie. Iniziarono con la blanket protest ("protesta delle coperte") nel 1976, nel corso della quale i prigionieri si rifiutarono di indossare la divisa carceraria e si vestirono solamente di una coperta. Nel 1978 i detenuti iniziarono la dirty protest ("protesta dello sporco" ), escalation che vide i prigionieri vivere nello squallore: spalmavano gli escrementi sui muri delle celle e buttavano l'urina sotto le porte, poiché venivano picchiati duramente dai secondini quando lasciavano le celle per andare al bagno a svuotare i buglioli.

Dopo più di 4 anni di vita in condizioni disumane, i detenuti decisero di risolvere la questione una volta per tutte e il 27 ottobre 1980 iniziarono il primo sciopero della fame. Guidati da Brendan Hughes, fino ad allora OC dei detenuti dell'IRA, sette detenuti (6 dell'IRA e 1 dell'INLA) digiunarono per 53 giorni. Il 18 dicembre, con uno di loro (Sean McKenna) in fin di vita, decisero di terminare il digiuno sulla base di indefinite promesse del governo di Margaret Thatcher che, una volta finito lo sciopero, non mise in pratica i cambiamenti annunciati nel regime carcerario.

Il secondo sciopero della fame iniziò quando Sands, diventato OC al posto di Hughes all'inizio del primo sciopero, rifiutò il cibo il 1º marzo 1981, dopo aver ceduto il comando dei detenuti a Brendan "Bik" McFarlane. Sands decise che gli altri prigionieri avrebbero dovuto unirsi allo sciopero ad intervalli regolari, allo scopo di aumentare l'impatto pubblico e la pressione sul governo britannico ogni volta che un detenuto in sciopero raggiungeva la "fase critica" del digiuno.

L'elezione al parlamento

Poco dopo l'inizio dello sciopero, Frank Maguire, membro del parlamento del Regno Unito per il collegio di Fermanagh and South Tyrone (un repubblicano irlandese indipendente), morì e si svolse un'elezione suppletiva.

Sands fu nominato non come candidato del Sinn Fein, ma come Anti H-Blocks/Armagh Political Prisoner (Armagh si riferisce al carcere femminile di Armagh, dove erano rinchiuse le detenute dell'IRA e dell'INLA), e vinse il seggio il 9 aprile 1981 con 30.492 voti, contro i 29.046 del candidato dell'Ulster Unionist Party (UUP) Harry West. Al momento dell'elezione, Sands risultò il più giovane deputato in carica, che nel gergo anglosassone si chiama "Baby of the House".

Il Governo del Regno Unito cambiò la legge poco dopo, introducendo il Representation of the People Act. Questo proibiva ai detenuti di partecipare alle elezioni, e richiedeva un periodo di cinque anni dal termine della pena, prima che un ex detenuto potesse candidarsi.

Il decesso e la sua eco

Tre settimane dopo, Sands morì nell'ospedale della prigione, dopo 66 giorni di sciopero della fame. L'annuncio della sua morte diede il via a rivolte che durarono diversi giorni, nelle zone nazionaliste dell'Irlanda del Nord. Oltre 100.000 persone si schierarono lungo il percorso del suo funerale, dalla casa di Sands a Twinbrook, West Belfast, fino al cimitero cattolico di Milltown, dove sono sepolti tutti i volunteers dell'IRA di Belfast.

Sands fu membro del Parlamento di Westminster per venticinque giorni, uno dei mandati più brevi della storia. Lasciò i genitori, i fratelli (una sorella, Bernadette, era all'epoca latitante nell'Eire e avrebbe poi sposato Michael McKevitt, Quartiermastro Generale dell'IRA che, nel 1996, in disaccordo con la strategia del processo di pace elaborata da Gerry Adams e Martin McGuinness, lasciò l'organizzazione per dare vita, con altri dissidenti, alla Real IRA, responsabile nel 1998 della strage di Omagh) e un figlio piccolo, Gerard, nato dal suo matrimonio, finito durante il suo secondo periodo in carcere.

Altri nove uomini (6 dell'IRA e 3 dell'INLA) morirono dopo Bobby Sands tra maggio e agosto del 1981. Gran parte dei repubblicani irlandesi e dei simpatizzanti dell'IRA guardarono a Sands e agli altri nove come a dei martiri che resistettero all'intransigenza del governo britannico e molti nazionalisti irlandesi che disapprovavano l'IRA furono scandalizzati dalla posizione del governo britannico.

La copertura mediatica che circondò la morte di Bobby produsse un nuovo flusso di attività dell'IRA, che reclutò molti nuovi membri e incrementò la sua capacità di raccogliere finanziamenti. Molte persone si sentirono spinte ad aiutare a spezzare la connessione britannica aiutando l'IRA, non vedendo altre opzioni dato l'atteggiamento intransigente dei politici britannici nei confronti dell'Irlanda. I numerosi successi elettorali conseguiti durante lo sciopero spinsero il movimento repubblicano
a muoversi verso la politica, e indirettamente spianarono la strada all'Accordo del Venerdì Santo e al successo elettorale del Sinn Féin molti anni dopo.

venerdì 23 aprile 2021

TRADIZIONI | Bona Diada de Sant Jordi 🌹📖


La Diada de Sant Jordi (giorno di San Giorgio), nota anche come El Dia de la Rosa (Il giorno della rosa) o El Dia del Llibre (Il giorno del libro) è celebrato il 23 aprile, dal 1926. L'evento principale è lo scambio di rose e libri tra innamorati, persone care e colleghi. Si tratta di una celebrazione molto simile al giorno di San Valentino del mondo di lingua inglese, il che fa sì che molti catalani rivendichino questa festa come il vero giorno dell'amore in Catalogna e fa sì che il giorno di San Valentino sia visto come una festa invasiva o un esempio di omogeneizzazione culturale.

Storicamente, gli uomini donavano rose alle donne, le quali regalavano gli uomini un libro per celebrare l'occasione: "una rosa per amore e un libro per sempre". Nei tempi moderni è consuetudine anche lo scambio reciproco di libri. Le rose sono state associate a questo giorno sin dal medioevo, ma la donazione di libri è una tradizione più recente che ha avuto origine nel 1923, quando un libraio iniziò a promuovere la festa come un modo per commemorare le morti quasi simultanee di Miguel de Cervantes e William Shakespeare il 23 aprile 1616. (Entrambi gli autori morirono in questa data, ma non lo stesso giorno, poiché la Spagna e l'Inghilterra avevano calendari diversi a quel tempo.) Barcellona è la capitale editoriale delle lingue catalana e spagnola e la combinazione di amore e alfabetizzazione era rapidamente adottato.
Nella strada più visitata di Barcellona, La Rambla, e in tutta la Catalogna, per l'occasione vengono allestite migliaia di bancarelle di rose e librerie improvvisate. Entro la fine della giornata saranno stati acquistati circa sei milioni di rose e 800.000 libri. La maggior parte delle donne porterà una rosa in mano e la metà delle vendite annuali totali di libri in Catalogna si svolge in questa occasione.
La sardana, la danza nazionale della Catalogna, viene eseguita tutto il giorno in Plaça Sant Jaume a Barcellona. Molte librerie e caffè ospitano letture di autori (comprese letture di maratona di 24 ore di diversi classici della letteratura catalana o spagnola ). Artisti di strada e musicisti nelle piazze si aggiungono all'atmosfera della giornata.
Il 23 aprile è anche uno dei soli tre giorni all'anno in cui il Palau de la Generalitat, il principale edificio governativo di Barcellona, è aperto al pubblico. L'interno è decorato con rose in onore di San Giorgio.
La Catalogna ha esportato la sua tradizione del libro e della rosa nel resto del mondo. Nel 1995, l'UNESCO ha adottato il 23 aprile come Giornata mondiale del libro.

martedì 9 marzo 2021

CATALUNYA | L’Europarlamento revoca l’immunità ai deputati catalani in esilio.

Articolo per "La Voce del Nord"

Nuvole nere si addensano sull’Europa, scure e foriere di repressione si dipanano dagli scranni dell’emiciclo europarlamentare a Bruxelles per finire sulle terre di Catalogna.

Nere come la ventata di “neofranchismo” che pervade, da oggi non più solo la Spagna ma anche un’Europa sempre più fogna del nazionalismo, anziché culla delle libertà delle persone e dei suoi popoli.

In Belgio il Parlamento Europeo, riunito in seduta plenaria, ha votato, a scrutinio segreto, per rimuovere l’immunità parlamentare di tre eurodeputati catalani, l’ex presidente catalano Carles Puigdemont e i suoi ex ministri Clara Ponsati e Toni Comin, come richiesto dalla magistratura spagnola per poter procedere contro di loro come già ha fatto nei confronti degli altri esponenti indipendentisti condannati a diverse pene detentive per “reati” legati allo svolgimento del referendum per l’indipendenza dell’ottobre 2017.
La revoca apre la strada per Madrid onde poter riattivare i mandati d’arresto europei finora rifiutati dal Belgio.

In una votazione a scrutinio segreto svoltasi ieri sera ma rivelata solo questa mattina, più di 400 eurodeputati hanno votato per revocare la loro immunità, quasi 250 contrari e più di 40 deputati si sono astenuti.
Puigdemont dovrebbe sollevare la questione alla Corte di giustizia europea (CGUE) dopo che è trapelata ai media una relazione della commissione giuridica del parlamento che raccomandava la rimozione della loro immunità.

Questa è la terza volta che la Corte Suprema spagnola ha provato a farli estradare, dopo che precedenti tentativi erano falliti in Scozia, Belgio e Germania.
La perdita della loro immunità non influirà sul loro status di deputati al Parlamento europeo, che manterranno fino a quando non saranno esclusi dall’incarico dopo un’eventuale condanna.

“Oggi è un giorno triste per il Parlamento europeo, noi abbiamo perso la nostra immunità ma il Parlamento europeo ha perso molto di più. Questo è un caso di persecuzione politica”. Così Puigdemont nel corso di una conferenza stampa dopo il voto dell’Eurocamera a Bruxelles.

Se da un lato la repressione del “nazionalismo neofranchista” è arrivata fino all’Europarlamento in Catalogna un giudice di sorveglianza ha stabilito la revocato lo status di semilibertà di cui godevano diversi degli esponenti indipendentisti condannati per reati legati al referendum quali Oriol Junqueras, Joaquim Forn, Raül Romeva, Jordi Turull, Josep Rull, Jordi Sànchez e Jordi Cuixart, che dovranno pertanto rientrare in carcere e restarci fino all’espiazione delle loro pene detentive.
Un brutto segnale, una spregevole forzatura, l’ennesimo attacco alle libertà sul quale tacere è rendersene complici.

martedì 12 gennaio 2021

INTERNAZIONALE | ECCO A VOI LA BREXIT


Nella foto lo "screenshot" di una newsletter di un brand britannico arrivata stamane nella quale si scusano per non poter al momento spedire merce verso i clienti europei causa Brexit, ovvero i problemi generati dal fatto di non far più parte di un libero spazio di libero commercio senza dazi, gabelle e dogane.

"A Noi cazzo cene! noi compriamo itagliano, ciabbiamo pure il casbec!!!" si apprestano a scrivere i vari sovratonti adoratori dell'italexit, peccato che gli scambi commerciali tra la sola italia ed il regno unito (unito per adesso) ammontino a oltre 35 miliardi di euro, di cui 25 di esportazioni italiane verso la perfida albione (come piace chiamarla ad alcuni di cui sopra).

Scambi che rischiano di subire un blocco o comunque dei contraccolpi in entrambe le direzioni, con evidenti e palesi effetti sull'economia e l'occupazione di questo paese (inteso come l'entità statale attuale, non certo quella agognata da molti da queste parti) con buona pace di certi "economisti" che passano da un convegno del partito comunista a scranni parlamentari sovranisti.

Una prospettiva che rende chiaro come un'eventuale italexit avrebbe come immediata conseguenza un impatto negativo sulle esportazioni, ovvero l'unica "voce" economica che ha tenuto a galla l'Italia negli ultimi 10 anni.
Impatto che non sarebbe per nulla assorbito da una moneta svalutata rispetto all'euro (altra conseguenza inevitabile di un'uscita dall'UE sarebbe il ritorno alla lira) dato che i dazi e gabelle che graverebbero sulle merci tricolori ne smorzerebbero ogni minimo effetto benefico, per non parlare poi dell'inflazione importata e altri deleteri effetti di stampo "argentino".